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Rappresentare il tempo e lo spazio, o la loro impercettibile, seppur profonda assenza, ha trovato nella sensibilità di alcuni grandi maestri della metafisica uno spunto e uno stimolo creativo che li ha condotti oltre la raffigurazione della realtà. Luciano Bonetti, con questi nuovi lavori incentrati sulle variabili costanti di spazio, forma e colore, elementi fondanti della grande pittura dal ‘400 in avanti, trova una sintesi espressiva e visionaria tra sperimentazione e tradizione. L’arte è come un viaggio alla scoperta di se stessi e del mondo e in questo inaspettato approccio stilistico e concettuale di Luciano Bonetti si percorre la strada della rinascita. Se nei dipinti degli anni passati, dai ‘Burocrati ai ‘Migranti del Mediterraneo’, alle tematiche di denuncia ecologista e sociale, l’artista ci conduceva tra le pieghe e gli abissi  dell’alienazione e della malinconica consapevolezza di una distruzione imminente dell’uomo e della natura, di ogni valore consolidato della modernità, in questi dipinti così sintetici nella ricerca cromatica e gestuale Bonetti ritrova il senso della speranza, di una bellezza primordiale dagli orizzonti infiniti e silenti. L’uomo scompare, solo all’apparenza, in questi paesaggi dell’anima e del mondo realizzati su lastre di alluminio – ulteriore elemento di distacco dalla consuetudine – e se ne ascolta il silenzio, quella mancanza di umori e rumori che caratterizzavano i precedenti lavori dell’autore. E’ però presente attraverso questi muri scrostati bruciati dal sole, questi colori sgargianti o notturni che narrano di primordiali presenze sulla Terra. Nei suoi ‘deserti’ cromatici l’infinito assume valenza di idea salvifica, unica prospettiva di redenzione che resta all’umanità. La serie, iniziata ormai da un paio d’anni, può anche essere letta come visionaria anticipatrice dei nuovi scenari drammatici e sconvolgenti vissuti dal pianeta e dalla nostra inarrestabile società dei consumi. Se il 2020 sarà ricordato come l’anno della pandemia mondiale, le nuove opere di Luciano Bonetti ne testimoniano l’assoluta unicità, fatta di spazi vuoti e immensi, come le periferie urbane che precedentemente l’artista faceva vivere di mille personaggi o come quei mari burrascosi e drammatici che hanno riempito le cronache contemporanee, riscoperti poi disabitati. La nuova stagione di Luciano Bonetti riparte quindi dalla purezza dell’uomo e della natura, quasi a voler imporre questa legge universale, una rivincita sull’Essere, cieco e inadeguato. Procedendo oltre lo sguardo ironico e disincantato sui mali del tempo, Bonetti ci svela quindi un altro aspetto della sua anima, quello più nascosto e segreto, in cui passione e rigore si fondono all’unisono.

La geometrica ed essenziale composizione spaziale, mai definita nelle molte sfumature, ma libera e tonale, il suo desiderio di condurre il nostro sguardo oltre quella linea che separa il vissuto dall’ignoto, trasformano questi dipinti in spartiti, dove il ritmo ancestrale suona la melodia del colore. Luciano Bonetti ascolta il pulsare della Terra e in una metamorfosi ideale ne muta il suono in luce e vibrazione. Le Finestre sul tempo di Luciano Bonetti sono labili confini tra orizzonti interiori, tra la memoria e il presente che diventa sogno. Il ricordo del viaggio, lo scorrere veloce di immagini che si accavallano nella memoria e si fissano indelebili nell’esistenza, i colori sovrapposti di pitture antiche su muri, portoni, finestre, raccontano il susseguirsi di stagioni e civiltà, alla cui origine ritorna comunque sempre l’Uomo, con tutto il suo vissuto. Luciano Bonetti osserva, con la sua visione insieme attenta, pungente e romantica che nella solitudine dell’uomo gli consente di trovare l’essenza della vita, le piccole piacevolezze, i profondi disincanti,  i grandi drammi. Lo sfaldamento dei contorni, le colature di smalti sui pannelli lucidi di alluminio, lo sciogliersi di un colore nell’altro sembrano indicare quella perdita del dettaglio che il tempo provoca negli anni, facendo emergere i momenti e le emozioni salienti della vita, quell’immagine che resta impressa per sempre, come un profumo o un ritmo ancestrale innato nel nostro essere. A volte il pigmento diventa solo un leggero pulviscolo, rarefatto come un momento che fugge, come una traccia lasciata su un muro e la presenza dell’uomo diventa una costante, seppur silente e concettuale, nelle opere di Bonetti, che si ritrova in questi specchi riflettenti e cromatici, in queste finestre chiuse su mondi quotidiani e veri, autentici e introspettivi, come la sua pittura.

GUIDO FOLCO